JOURNAL / イタリア20州旨いもの案内(Italiano)
Perché i vini e i cibi prodotti dalle suore sono così buoni.
Vol.66 L’attività produttiva nel monastero di Vitorchiano, provincia di Viterbo Lazio
2023.04.27
text by Paolo Massobrio
Rubrica: Guida delle cose più buone delle 20 regioni italiane
Probabilmente non è un caso che alcune delle persone più serene e più allegre che io abbia conosciuto siano monaci. A volte penso che il merito vada un po’ alla cucina semplice ma fatta bene che nei monasteri si pratica quasi ovunque.
“Non è tanto per la pancia – mi aveva detto uno dei miei monaci preferiti -, già si dorme poco, non ci si può sacrificare anche sul cibo, se no avresti tutte persone depresse e il Signore non ci guadagna a essere onorato da musoni. La buona tavola mette di buon umore”.
Quindi non ci deve stupire se i prodotti gastronomici dei monasteri sono quasi sempre di livello altissimo.
Partiamo da un dato storico: non si capisce nulla dell’Europa senza il contributo dei grandi ordini monastici, a partire da Benedetto. Tra VI e IX secolo, in un’Europa vicina allo sfascio, assalita dalla marea islamica a Sud e
divisa e disordinata a Nord, in un mondo in cui tutti i contesti urbani e comunitari appaiono spezzati, è decisiva la presenza, anche simbolica, delle comunità monastiche, di questo vivere associato, ordinato, regolato che coinvolgeva non solo il nucleo religioso dedito alla regola dell’Ora et Labora, ma anche le famiglie contadine di territori a volte vastissimi. Fu così che, anche in campo agricolo, la nostra civiltà venne rigenerata dall’eccezionale apporto del monachesimo benedettino.
Nessuno lo sottolinea mai a dovere ma, in qualsiasi campagna d’Europa uno si trovi, riscontra tracce di un insediamento monastico che ha gettato semi di ricerca di pratiche agricole e agroalimentari, talvolta anche in modo clamoroso se pensiamo al lavoro fatto dai Cistercensi sui vini di Borgogna.
Attraverso il lavoro ben fatto adempiamo ad un dovere verso Dio.
“Ma non si pensi che questa cura abbia una finalità edonistica. L’orgoglio degli artigiani è sempre stato il lavoro ben fatto. Fare bene il proprio mestiere ha una valenza etica, è l’adempimento di un dovere; per noi monache è il miglior modo, insieme alla preghiera, di celebrare la Gloria di Dio”.
A parlarmi così è Suor Adriana, responsabile dell’azienda agricola del Monastero Trappiste di Vitorchiano, tre chilometri fuori dal bel borgo in provincia di Viterbo, dove vivono 70 suore, molte delle quali giovanissime. Sono Trappiste di clausura dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza, uno dei più rigorosi nel praticare la regola Benedettina fatta non solo di lavoro e di preghiera, ma anche di silenzio e di isolamento.
Ogni giorno ci si alza alle 3 perché il primo ufficio di preghiera è alle 3,30 e si va avanti, fra lodi, letture e meditazione personale fino alle 7,45, ora di colazione. Poi comincerà il lavoro quotidiano che durerà fino alle 11,45; alle 12 il pasto a cui è dedicata un’ora, lavaggio piatti compreso. Dalle 13 alle 14 l’unica ora di libertà personale a cui seguiranno in alternanza lavoro, preghiera, letture, meditazione fino alle 18, ora della sobria cena per cui sono previsti 15 minuti. Le ultime preghiere fino alle 19,30, il momento del meritato riposo.
L’agricoltura è il compito affidato a noi da Dio.
“Sono entrata a Vitorchiano, 30 anni fa, quando ne avevo 25 – dice Suor Adriana; l’inizio della vita monacale, con i suoi rigidi orari è faticoso, perché bisogna prendere il ritmo finché, con il passar del tempo il ritmo del convento diventa quello del tuo corpo. Oggi non saprei pensarmi in una modalità diversa di vita, sento il bisogno del lavoro alternato alla preghiera perché l’una sostiene l’altro. Solo così possiamo dedicarci a lavori assai duri come curare i 33 ettari di campi e frutteti, vigneti e uliveti che abbiamo bonificato negli anni 60, liberandoli da tonnellate di pietre”.
Sono 6 le sorelle che si dedicano all’attività agricola, coadiuvate da 2 uomini per i lavori più pesanti. É normale nelle campagne attorno al monastero, vedere le suore contadine, soprattutto le più giovani, con il grembiule azzurro sopra il saio bianco, zappare, raccogliere la frutta o guidare il trattore con un cappello di paglia in testa.
“Stavo finendo gli studi di Economia e Commercio, dovevo più solo discutere la tesi, quando ebbi il mio incontro con il Signore. Il dono della Grazia non toglie la necessità della lotta anzi è una grande responsabilità perché “a chi è stato dato molto sarà chiesto molto di più” (LC 12,39-48)
Per me donare la vita al Signore è fare delle piccole cose con amore; la cura di un orto è il lavoro liberato dal vincolo di produrre per far crescere l’economia perché l’agricoltura, nel significato originario di coltivare e custodire la terra è il compito affidato da Dio alla sua creatura. Il prodotto di questo lavoro sono le verdure che vengono tutte utilizzate per il sostentamento della comunità (noi non mangiamo carne se non quando sia strettamente necessario per motivi di salute), i prodotti del frutteto invece sono utilizzati, oltre che per le nostre necessità, per le marmellate, la nostra principale fonte di reddito. Sono 26 gusti diversi, solo frutta e zucchero. Sono vendute sia nei negozi interessati a prodotti di nicchia, sia nei monasteri con cui scambiamo la nostra produzione, sia sul sito internet.
Dal 1993, con la certificazione biologica, sono produttivi 1000 olivi delle varietà locali, canino, frantoio, leccino, pendolino da cui produciamo, in un vicino frantoio, dai 1500 ai 3000 litri a seconda delle annate di olio extravergine.
Il vino è quello che inizialmente ci ha dato più problemi. Parte dei nostri 4 ettari di vigneto risalgono al 1963, la cantina è interna e della vinificazione ci occupiamo noi suore. Facevamo vino sfuso per clienti locali ma ne vendevamo poco, tanto che avevamo pensato di dedicarci alla produzione di aceto.
Un giorno venne da noi Giampiero Bea di Montefalco e assaggiò il nostro vino. “Questo vino vale”, ci disse, “Allora lo compri!”, replicammo. “Posso far di meglio, aiutarvi a venderlo”. Era il presidente del consorzio Viniveri, che raggruppa produttori con la nostra stessa filosofia di rispetto per la terra.
Ora abbiamo tre vini: il Coenobium, bianco di trebbiano, malvasia e verdicchio, il Coenobium Ruscum, lo stesso bianco ma con maggior permanenza sulle bucce durante la vinificazione e il Benedic, rosso di sangiovese e ciliegiolo. Sono 35000 bottiglie e non abbiamo più problemi commerciali, pensa che il nostro vino lo si può trovare anche in Giappone!”.
Ottenere la bellezza e il lieto umore col distacco totale dai beni di questo mondo.
Potrei dilungarmi sulla soavità delle marmellate, sulla purezza dell’olio, sulla squisitezza dei vini, fino al dialogo con le consorelle che, in piena pandemia, hanno aperto un monastero in Portogallo e si sono messe a produrre dolci e confetture anche là. Ma questo è un capitolo a sé, per cui vorrei chiudere questo mio racconto di un’esperienza straordinaria ritornando a riflettere sul monachesimo.
L’immagine corrente del monaco come uno che fugge dalla società è semplicemente stupida. Il monaco lascia quel che ha per seguire Cristo ma, proprio perché segue Cristo non si separa da nulla, anzi coltiva il suo campo e lo rende luminosamente fruttuoso.
La parola monaco significa solitario ma il monachesimo è vivere insieme, lavorare e pregare in comunità. La consuetudine fa aumentare l’amore attraverso la familiarità, per essere veramente insieme occorre essere capaci di entrare nella propria verità, toccare il proprio fondo. Soltanto chi è capace di essere solo potrà costruire una comunità. Oggi, nella nostra società, se uno sta da solo 5 minuti, si rimbecillisce con i social sul telefonino o accende la tv.
L’attualità del monachesimo, la sua azione salvifica è la sua perfetta inattualità.
Il distacco quasi totale dai beni di questa terra, essere pronti a rinunciarvi se si posseggono, la profonda devozione al Signore e alle le cose che quaggiù lo rappresentano: la bellezza, innanzitutto, interiore prima che visibile, l’animo grande che ne è la radice e il lieto umore.
“Con lieve cuore, con lievi mani la vita prendere, la vita lasciare”.
◎Monastero Suore Cistercensi S.O.(Trappiste)
Via della Stazione, 23, Vitorchiano(VT) Italy
Tel +39 0761 370017
https://www.trappistevitorchiano.it/