JOURNAL / イタリア20州旨いもの案内(Italiano)
Guida delle cose più buone delle 20 regioni italiane
vol.41 Basilicata: Un’Azienda Agricola Bio
2019.10.31
Dall’attività di costruttori all’agricoltura; la storia di una famiglia di tre generazioni
Qualcuno ha detto che il maiale sia diventato sporco solo in seguito alle sue frequentazioni con l’uomo e che invece, allo stato selvatico, sia un animale molto pulito.
Non ne sono sicuro, ma sicuramente gli antichi avevano ben altro concetto di questo simpatico quadrupede se il suo nome deriva dal fatto che spesso veniva usato come dono sacrificale per Maia, dea della fecondità e del risveglio della primavera e che fu una scrofa bianca, subito immolata agli dei, quella che annunciò ad Enea, reduce da Troia, il raggiungimento della terra promessa, il litorale laziale.
In tutte queste storie il porco finisce sempre sacrificato e il fatto che non se ne butti via niente compensa malamente questo atroce destino.
Quindi vedere i suini neri lucani pascolare liberamente, senza essere costretti in spazi angusti come avviene per altre razze, solleva un po’ la mia coscienza di consumatore assiduo di mortadelle, prosciutti e salumi vari e poi mi sento molto rinfrancato dal basso impatto ambientale, in quanto l’allevamento all’aperto non comporta produzione di liquami, né cattivi odori dovuti alle operazioni di spandimento.
Sono alla BioAgrimar in Basilicata, un’azienda familiare fondata nel 1994 da Vincenzo Marottoli, un imprenditore che aveva lavorato nel campo delle costruzioni e che voleva restituire a sé stesso e al territorio il gusto delle cose buone di un tempo.
Ora Vincenzo ha 86 anni e bazzica ancora in azienda, ma oggi è un altro Vincenzo che ci guida: il nipote di 28 anni, laureato in economia alla Cattolica di Milano. È lui a parlarci con entusiasmo dell’attività familiare.
L’azienda, nata a Genzano di Lucania su un’estensione di 230 ettari, era inizialmente dedicata alla
coltivazione di cereali quali grani duri, anche di antiche varietà come il senatore cappelli ed il khorasan, farro, orzo ed avena. C’era anche una produzione di pecorino da latte lavorato a crudo di animali allevati al libero pascolo: le forme di varia pezzatura sono ancora oggi stagionate su assi in legno grezzo e affinate con l’olio di oliva dell’azienda.
Fin dall’inizio avevano cercato di raggiungere la migliore qualità, ma lo sbocco commerciale era limitato e locale.
Dal 2007 con Emilio, figlio del fondatore, ingegnere di professione ma con una spiccata vocazione agricola, il primo cambio di rotta: la conversione in biologico di tutta l’attività agricola.
Nel 2011 venne impiantato l’oliveto che andò in produzione nel 2015. Erano 3000 piante di otto diverse varietà. Inizialmente, non avendo un frantoio di proprietà, si produceva un solo olio miscelando le varie cultivar. Dal 2017, con il nuovo frantoio di proprietà s’è cominciato a mettere in commercio solamente oli monovarietali, dalla forte personalità e sicuramente più in linea con la vocazione aziendale a rappresentare al meglio la tipicità del territorio.
Ma la vera meraviglia è a Cancellara, un piccolo paese in pietra, abbarbicato sulla collina, con un affascinante centro storico dimenticato dal tempo, quasi intatto: in un bosco di ben 45 ettari completamente cintato.
450 capi di maiale nero di Lucania (antico nome della Basilicata anche se i confini erano un po’ diversi) che pascolano liberi nel sottobosco, cibandosi di tuberi, radici, castagne, ghiande, funghi, con una piccola
integrazione alimentare dei prodotti biologici dell’azienda.
Si tratta di un’antica razza, rustica, diffusissima a fine ottocento e poi quasi estinta ora in via di meritorio recupero, come quasi tutti i suini neri, per le caratteristiche organolettiche e salutari delle sue carni.
Gli animali cresceranno dai 20 ai 26 mesi fino a raggiungere i 140 chilogrammi. Macellati saranno lavorati nel laboratorio aziendale, stagionati e venduti. Dall’allevamento al prodotto finito.
Non per niente a Cancellara il simbolo della tradizione è la salsiccia a catena: carni lavorate a punta di coltello, impastate con polvere di peperone dolce e finocchietto selvatico e poi insaccate in budello naturale formando almeno tre anelli che diventeranno la tradizionale “catena”. Unà specialità così amata che a settembre gli si dedica una festa popolare.
Bioagrimar naturalmente propone anche sopressate, pancette, guanciali, capocolli, culatelli e prosciutti ed il pezzente, che ha lo stesso impasto della salsiccia ma per cui vengono utilizzate le parti più grasse e meno nobili, tagliate a grana grossa. Per chi ama i sapori intensi e rustici, da solo vale il viaggio, fantastico nel sugo per le orecchiette.
Chi sa cosa sia la qualità deve anche saperla raccontare e portarla a diventare un valore.
“Il mio impegno – dice Vincenzo – è nato inizialmente da un sentimento di rabbia per la mentalità
provinciale del Sud Italia e della Basilicata che molto spesso porta solo a chiudersi, scontrarsi e lamentarsi. Vivere per alcuni anni a Milano mi ha portato a capire che dare valore al contadino è soprattutto dargli quello che gli serve per metterlo in condizione di farsi vedere su mercati diversi. Abbiamo la fortuna di avere a disposizione i social e il web per farci conoscere ovunque, abbiamo la possibilità di essere più forti attraverso i consorzi e i gruppi di produttori: nessuno come noi agricoltori italiani sa fare qualità, dobbiamo fare gruppo e migliorare la comunicazione.”
Sorprende questo giovane così determinato e consapevole ma, a pensarci bene, non è che il frutto di venticinque anni di passione familiare per questa terra, di miglioramento costante, di utilizzo responsabile delle risorse.
Da una famiglia nata imprenditorialmente nel campo delle costruzioni un esempio di sviluppo sostenibile. A dire il vero, girando per l’Italia ho visto negli ultimi anni molti imprenditori, venuti dalle più svariate attività, investire in agricoltura, spesso cambiare vita. Quasi tutti hanno abbracciato la filosofia del biologico e del naturale, non per moda, ma per ferma convinzione di volere fare bene per sé stessi, per i figli, per la terra.
Nel 2015 la declinazione degli SDG (Sustainable Development Goals ) delle Nazioni Unite ha individuato 17 obiettivi per trasformare in meglio il nostro mondo. Mi sembra che da noi siano da tempo applicati naturalmente, magari senza costruirci su troppi sistemi, per buon senso e per passione, il sale della nostra vita contadina.
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