JOURNAL / イタリア20州旨いもの案内(Italiano)
Guida delle cose più buone delle 20 regioni italiane
vol.51 Sicilia: Salvo Foti, vitivinicoltore etneo
2020.11.05
Vini nati da “la montagna di fuoco”
Quando ho assaggiato per la prima volta Vinupetra de I Vigneri non conoscevo Salvo Foti ma mi sono subito reso conto di trovarmi di fronte ad un monumento che non aveva bisogno della firma dell’autore e, credetemi, questo, per un vino come per un’opera d’arte, è un gran complimento.
Tramite il possente rosso naturale non era Salvo, ma l’Etna che comunicava, con vitalità e gioia vulcanica; Vinupetra, nome azzeccato se la pietra non è roccia impassibile ed indifferente, ma quella mutevole, odorosa e rumorosa della montagna di fuoco. Un assaggio indimenticabile che mi ha portato a dire: “Questo è per tutta la vita”.
Esiste una viticultura etnea prima e dopo Salvo. La sua è stata una rivoluzione partita dal basso per restaurare la tradizione. Giovane enologo catanese, con poca terra ma con le idee chiare, frustrato dal degrado della viticultura Etnea, costituì nel 2000 la società “i Vigneri” riportando in vita una maestranza catanese di agricoltori attiva dal 1435.
Assunse ragazzi rigorosamente siciliani e li mandò ad imparare il mestiere dai pochi anziani che potessero insegnare la tradizione della vigna, da coltivare con vitigni autoctoni e sistemi e strumenti non invasivi.
Da queste tecniche, applicate sui pochi ettari di proprietà, nacquero due vini straordinari, Vinupetra e Vinujancu, che propose, come esempio di ciò che si poteva ottenere dalle vigne sul vulcano, ai potenziali investitori. Poteva fare per loro vini come quelli ad un’unica condizione: i Vigneri si sarebbero occupati di tutto, vigna e cantina, fino al ripristino dei muri a secco, tipici del paesaggio etneo.
Ebbe successo ed è principalmente merito suo se oggi Nerello Mascalese e Carricante, i due principali vitigni autoctoni dell’Etna, sono conosciuti in tutto il mondo.
Salvo Foti è all’apparenza uomo molto riservato, le parole sono poche e il tempo che ha da dedicarti è ancora meno ma, allo stesso tempo, è colto, spiritoso e un affascinante divulgatore; così, se hai la fortuna di intervistarlo, è un’esperienza.
Tutti vogliono fare vini sull’Etna e nessuno dice mai: “Voglio fare un vino etneo”.
Salvo Foti, com’è cambiata in questi anni la viticultura sull’Etna?
Anche sull’Etna bisogna adeguarsi ai cambiamenti climatici in atto. Si può dire che, dal 2003 in avanti, non ci sia più stata un’annata “normale”. In passato, nel periodo della vendemmia a metà ottobre, arrivava quasi sempre una specie di “estate indiana”, ottima per asciugare l’uva. Così, se defogliavi la vigna a settembre, i grappoli erano pronti a godersi quest’ultimo sole per arrivare alla maturazione perfetta, quando il Nerello Mascalese maturo sembra ad una specie di velluto blu.
Ora c’è più rischio di grandine a luglio e ad agosto, più vento di scirocco, bisogna spesso anticipare la vendemmia, in pratica devi star sempre a seguire le previsioni del tempo.
Che influsso ha avuto la sempre maggior rinomanza dei vini etnei sull’enologia e sugli stili di produzione?
L’Etna vitivinicola, nella sua purezza aveva tutte le carte in regola per fare grandi vini e nessuno lo sapeva.
Purtroppo buona parte degli investitori vedono nell’Etna un’altra terra da colonizzare, impongono loro modelli, spesso per vanità personale, con stili produttivi tra i più disparati. Molti snobbano la DOC e mettono sulla bottiglia il nome della loro contrada; essendo persone con una certa notorietà, vogliono poter dire “Questo l’ho scoperto io”. Ma perché sono arrivati solo ora? L’Etna è qui da sempre.
Se volessi fare i vini a Barolo, a parte il costo delle vigne, non potrei farlo così facilmente perché mi dovrei adeguare ad una tradizione forte e viva.
Tutti vogliono fare vini sull’Etna e nessuno dice mai: “Voglio fare un vino etneo”.
E cosa ci vuole per fare un vino etneo?
Ricerca storica sulle tecniche viticole, antropologica e culturale del territorio, poi dedicare molto tempo alla selezione viticola. Ho iniziato in tempi insospettabili, quando l’Etna non era nulla; avevo due sole possibilità: emigrare o emergere. Mi sono inventato con Benanti un modo di fare il vino, una viticultura legata alla professionalità di un gruppo di lavoratori autoctoni, con poca meccanizzazione. Per la vite pali di castagno e coltivazione ad alberello, per la vinificazione palmento etneo.
Ci parli del palmento?
In tantissime aziende viticole etnee, ancora oggi, è possibile trovare le antichissime cantine di vinificazione: i palmenti in pietra lavica. Caratteristica della fabbricazione del palmento etneo, oltre all’utilizzo della pietra lavica, è quella di essere costruito in modo da utilizzare, nella vinificazione, attraverso opportuni sistemi di canalizzazione, la forza di gravità, senza utilizzo di alcuna attrezzatura di sollevamento del liquido.
Infatti piano pigiatura, zona torchiatura e cantina, si trovano ubicati a quote diverse e digradanti. La pressatura dell’uva veniva fatta dai “pistaturi”, operai che la pestavano a piedi nudi o dopo aver calzato pesanti scarponi, con piccoli passi ritmati e le mani dietro la schiena, effettuando una specie di girotondo, cantando le canzoni popolari tipiche della vendemmia.
Questa tradizione durata secoli era diventata illegale e con i Vigneri abbiamo fatto di tutto per recuperarla. Il mio interesse non era solo culturale, antropologico: per mantenere viva una tradizione non basta scriverne in un libro, bisogna che qualcuno la pratichi.
Se possiedi un palmento, farci il vino è un modo per mantenere la struttura, creare un museo e renderlo produttivo. Poi, con la vinificazione in palmento, puoi esaltare la tipicità del Nerello mascalese. Una delle problematiche del vitigno è che ha poco colore, le sostanze coloranti sono poche e precipitano facilmente. La vasca bassa e larga, molto lunga del palmento aumenta la superficie delle bucce a contatto con il mosto durante la macerazione e risolve in modo naturale questo problema. Si potrebbe dire che il Palmento sta all’Etna come l’anfora sta alla Georgia.
Perché non hai fatto il Vinupetra in palmento?
Al Vinupetra servono macerazioni molto lunghe, superiori ai 15 giorni; il palmento è ossidativo, l’uva al massimo vi può macerare una settimana e si ottengono vini che esaltano la rusticità e la tannicità del Nerello. Mi piacciono molto.
Qual è oggi la produzione de I Vigneri?
I rossi sono Vinupetra, Nerello Mascalese 80%, Nerello Cappuccio, Alicante e Francisi 20% di cui ne facciamo 3000 bottiglie; I Vigneri rosso, quello fatto in palmento con Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Alicante per 7000 bottiglie e Viti Centenarie una particella della vigna di Vinupetra con Nerello Mascalese in purezza, 1000 bottiglie.
Fra i bianchi, Aurora con 90% Carricante e 10% Minnella 5000 bottiglie; Vigna di Milo, Carricante in purezza di cui il 70% a piè franco, 1500 bottiglie e Palmento Caselle, una particella particolare di Carricante che produce circa 1000 bottiglie.
In ultimo il Vinudilice, il rosato da Vigna Bosco a 1300 m., probabilmente il vigneto più alto d’Europa con Alicante, Grecanico, Minella ed altri minori, 2500 bottiglie di cui, nelle annate adatte produciamo un po’ di metodo classico.
Ci sono poi i vini fatti con clienti che hanno sposato la nostra filosofia e che fanno parte del Consorzio dei Vigneri come I Custodi delle Vigne dell’Etna e Federico Graziani.
Quanto tieni alla tua “sicilianità”?
Direi che ci tengo ad essere “etneo”, cioè un siciliano con la neve. Qui siamo abituati al freddo e al clima vulcanico che, oltre ad essere una minaccia, dà un’energia speciale, è un fatto fisico. Cade la cenere e la respiri, dalla finestra esposta verso la punta del vulcano guardi fin da bambino il fumo, se sia bianco o rosso. E poi abbiamo noci, nocciole, funghi porcini. Il mare è vicino ma non ci appartiene. É una Sicilia diversa.
Nell’aneddottica che ti circonda pare tu abbia detto ad una signora che voleva investire sull’Etna: “Signora, se vuole comprare una vigna pensi anche a fare un figlio”. In effetti Simone (25 anni) e Andrea (21 anni) sembrano dei continuatori perfetti… come si fa a dare ai figli un’educazione così?
Non dipende solo da me, con Maria Grazia abbiamo sempre condiviso il modo di vedere l’educazione dei figli. Poi conta il background: i ragazzi sono cresciuti in un contesto familiare che li ha formati, con un gruppo di persone dove la collaborazione umana è importante.
Il rigore ci vuole e, se qualche volta faccio la parte del duro, è perché qualcuno deve far capire ai figli che sono figli, non amici. Gli amici si scelgono, genitori e figli no. Sono cresciuti in serenità, sapendo di poter contare sulla famiglia e di essere trattati con rispetto da chi, ogni sera, portava la passione a casa. E poi ci vuole fortuna… io, con i miei figli, sono stato fortunato.
Il media giapponese Web Ryoritsushin, con cui collaboro, sta raccogliendo e pubblicando opinioni e reazioni di diversi produttori giapponesi sulla pandemia del Covid: molti dicono che è un’occasione di riconsiderare il nostro rapporto con l’ambiente. Che influenza pensi possa avere il Coronavirus sul nostro modo di vivere?
Le pandemie ci sono sempre state e noi oggi, più di un tempo, dovremmo essere in grado di rispondere. Il virus non è il male assoluto e nemmeno un mostro; in tempi di crisi, bisogna stare con i piedi per terra, con meno esagerazioni. Rispettare l’ambiente e le persone è difficile, ma sarebbe un peccato lasciar passare tutto questo senza imparare niente.
Nel tuo libro “Come bere bene” hai scritto: “Forse senza vino si potrebbe vivere. Ma senza amore no”. Ci credi ancora?
Certo! C’è gente che, non avendo amore, cerca di trovarlo nel vino. Si fa solo del male. Quando sei amato hai qualcuno con cui condividere. Ho alcune buone bottiglie di produttori che stimo in cantina, ma non mi sognerei mai di bermele da solo. E poi…dammi retta, non c’è vino più buono, qualsiasi sia, della bottiglia aperta in un’occasione speciale con la persona che ami.
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I VIGNERI di Salvo Foti
Palmento Caselle via Abate, 3 - 95010 Milo (Etna est) Catania Italy
Tel. +39 3666622591
e-mail: info@ivigneri.it